La pioggia è arrivata durante il sonno, rigando i vetri della camera e i miei sogni, ed è venuta giù lenta e sottile fino a sciogliere la china nera della notte e a consegnare al nuovo giorno una mattina fredda e ventosa.

Ieri non ne volevo proprio sapere di dormire. Certo, gli spaghetti ingurgitati a notte inoltrata non hanno contribuito allo scopo, ma sono stati altri gli impedimenti e di diversa natura. Quando le emozioni in circolo hanno scie così lunghe e persistenti, come quelle lasciate dal concerto di ieri, non è affatto semplice rallentare e mitigarne la portata. Accade ogni volta, in effetti, di fare i conti con questa insonnia emotiva tra il concerto e il sonno, ma poi di solito la stanchezza vince su tutto e mi tramortisce fino a stendermi e a farmi chiudere gli occhi.

Ieri però è stato diverso, ieri è stato speciale. L’effetto adrenalinico di una simile condivisione può durare anche delle ore, negando il riposo perfino a una stanchezza eccessiva, e così è stato. Ho faticato a calmarmi, a quietare lo stato di eccitazione. Non so davvero a che ora ho chiuso gli occhi, ma quando li ho riaperti mi è sembrato fosse trascorso il tempo di un battito di ciglia. Con lo sguardo gonfio e appannato e i muscoli appesantiti ho girovagato per un po’ senza un reale scopo, sistemando in modo confuso i vestiti nella valigia, vestendomi a rate e in angoli diversi della stanza, finché Andrea, il figlioletto di Massimo, ha bussato alla mia porta voglioso di giocare, donandomi la botta di vita necessaria alla definitiva messa in moto.

In macchina, qualche ora dopo, avevo finalmente ripreso possesso di tutte le mie facoltà cognitive, sebbene l’appagante ricordo della complicità vissuta durante la tappa faentina fosse ancora vivido nella mia mente.

Adesso, oltre il parabrezza, assieme a un cielo ombrato di grigio, mi aspettava una nuova storia da raccontare, nuovi incontri di cui arricchirmi e un paesaggio straordinario da contemplare. Sì, perché le colline jesine, tra le quali mi sono immerso e perso appena fuori dall’autostrada, tolgono il fiato davvero e accelerano i battiti di un cuore affascinato. Difficile descrivere la bellezza attraverso cui ho guidato per raggiungere Ostra, non ho fatto che fermarmi per fotografare un paesaggio sempre nuovo a ogni curva, tra borghi, campi arati, vigneti di verdicchio e querce secolari, così da lasciare all’obiettivo il compito di raccontarne la meraviglia.

Forse corro il rischio di ripetermi, ma preferisco essere monotono che ingrato. Ogni volta che la musica mi trascina in luoghi che altrimenti non avrei visto, mostrandomi bellezze commuoventi che altrimenti non avrei conosciuto, vengo pervaso da una sensazione di completezza per cui non smetto mai di ringraziare, perché nutrirsi dell’incanto del mondo sfama lo spirito a fa crescere la meraviglia, di cui da tempo sembriamo orfani.

Ho raggiunto la country house “La ragola” che era già tempo di montare l’impianto e di provare i suoni della mia chitarra, operazioni che hanno richiesto pochissimo tempo, questa volta. Così, prima del concerto, ho avuto modo di chiacchierare a lungo con Anna Maria, padrona di casa sorridente e sognante, e di gustare i sapori raffinati del buffet di Moira, la bravissima cuoca del ristorante.

L’entusiasmo con cui mi hanno accolto è stato il medesimo degli ospiti che poco dopo hanno circondato i tavoli con un’evidente curiosità, alimentata prima dal cibo e poi dalla mia musica.

La loro presenza e la loro partecipazione, superiori perfino alle più rosee aspettative mie e di Anna Maria, hanno confortato le prime note del concerto, piuttosto imprecise in verità, e sostenuto una stanchezza che fino all’ultimo pezzo ho stentato a trattenere e a nascondere. Tuttavia, le mie dita sono riuscite a riprendere precisione e dinamica quasi subito, facendosi scappare ogni tanto qualche sbavatura, ma restando sempre sulla scia della musica, attente a non farsela sfuggire.

Anche se con meno vigore di altri concerti, una complicità benedetta non è tardata a germogliare in sala, accompagnandomi con il giusto calore fino all’ultimo accordo, questa sera strappato quasi con un sospiro di sollievo. Ero davvero stanco, poco lucido e avevo bisogno di dormire.

Non mi sono certo negato, però, all’irrinunciabile scambio di parole ed emozioni con la gente a fine corsa, mentre le note sembravano ancora vibrare tra i tavoli. È stato davvero piacevole ricevere le loro strette di mano, le loro belle parole e il loro sentito incoraggiamento a continuare a vivere il mio sogno. In effetti non c’è pericolo, amici. Continuerò a farlo.


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