Quando sono salito in macchina per riprendere il mio viaggio, bagagliaio e cuore ricaricati, ho dato una veloce occhiata alla finestra di casa, sperando di vederci la manina di mio figlio Simone salutarmi per l’ennesima volta. Di solito lo fa sempre, ma questa volta non è accaduto e la cosa mi ha messo un po’ di malinconia addosso. Per strada non ho fatto che pensarci e l’idea di restare lontano dalla mia famiglia per altri quattro giorni mi ha un po’ infastidito, per la prima volta dall’inizio del tour. Certo, il senso di completamento quasi amoroso che avverto nel mio cuore per ogni passo mosso dietro la musica non ha mai smesso di appagare il mio spirito durante l’intera ora di macchina, tuttavia, fino a Bologna, solitudine e mancanza non mi hanno risparmiato il loro sgradevole aroma.
Sono stati l’accoglienza e i sorrisi degli amici della comunità “Maranà-Tha” di Cinquanta, un piccolissimo paesino delle campagne bolognesi, a confortarmi e a donarmi una rinnovata serenità. D’altronde non si può fare a meno di esserne contagiati, appena varcato il loro cancello, avvolti da subito dai colori accesi di spazi e porte aperte, tra gli intenti benevoli di una dimensione che sembra estranea al mondo e al suo arraffare senza fiato. Le famiglie che hanno dato forma a un sogno di questa portata, alimentato ormai da più di vent’anni, vivono nella condivisione e nella fede, intrecciando mani e cuori in libertà e sostenendosi l’un l’altro con una semplicità e una genuinità mai chiuse in un cerchio esclusivo e personale, ma sempre disponibile ad accogliere altre mani e altri cuori. È un fiore raro, il loro sogno, ed è per questo che non perdo occasione di contemplarlo, quando passo di qui, così da assaporarne la fragranza e la bellezza.
È stata davvero una piacevole opportunità fare tappa con il mio giro di note a San Donnino, un paesino a una manciata di chilometri dalla comunità, perché rivedere Gianni, Luca, Mario, le loro mogli, i loro figli e soprattutto Claudio Imprudente, scrittore e figura di un certo spessore nel mondo della disabilità, con cui ho collaborato in un paio di live, mi ha fatto stare bene, come mi ha riempito di gioia il vederli tra i tavoli del pub “Sirius”, qualche ora dopo, poco prima del concerto.
Suonare in un locale non è affatto semplice. Troppo spesso si rimane in balìa di una tempesta di chiacchiere e indifferenza, invisibili e abbandonati in un angolo come una sorta di radio umana, annaspando senza mai trovare appigli emotivi e condivisione di sorta, a parte qualche rarissimo caso. La presenza coinvolta dei miei amici, a cui poi si è unito anche il vulcanico Giulio, che mette sempre a dura prova le mie ganasce con le sua ironia dirompente, è servita a quietare le acque rumorose dei tavoli in fondo, comunque meno agitate del solito, concedendomi il lusso dell’attenzione e di un applauso vivo ed emozionato.
Confortato e protetto dalla loro partecipazione, ho potuto intraprendere il mio viaggio musicale attraverso le note dei miei pezzi con un’insolita precisione e una dinamica difficilmente eseguibile tra le pinte e i fritti di un pub.
Il fatto è che a volte è sufficiente un solo cuore predisposto perché si compi lo scopo di ogni linguaggio artistico, indipendentemente dal luogo in cui si esercita, e di cuori questa sera ce ne erano più di uno, vogliosi, curiosi e con il giusto groove nei battiti. Per un attimo mi è sembrato che andassero tutti all’unisono con il mio. Di sicuro è accaduto dopo il concerto, seduti in cerchio ad alimentare un’interazione che è in effetti andata oltre la musica, alimentata da quell’appassionante desiderio di concedersi senza alcuna remora, di sentirsi amorevolmente uniti e complici.
A fine serata, ormai con la notte alle porte, ho infoderato strumenti e impianto e ho puntato il letto che in comunità attendeva il peso della mia giornata, non prima di aver salutato e ringraziato Massimo “Mamo”, il gestore del locale, persona disponibile e dagli occhi sorridenti che non ha esitato neppure un attimo a concedermi palco e luci, nonostante avesse smesso l’attività live da tempo e in un giorno in cui, fra l’altro, non era mai stata prevista.
Gli incontri sono la faccenda interessante del mio mestiere, forse la più importante, perché prima di ogni cosa, prima della musica e prima dei viaggi, ci sono i rapporti umani, senza i quali anche il sogno più eccitante si sfracella rumorosamente al suolo.
Così, prima di spegnere la luce, ho pensato a mia moglie Novella e ai miei figli, ai loro sogni cullati nei loro letti. E ho provato un commuovente senso di gratitudine.
Grazie Luca della possibilità che ci hai dato di gustare una bella serata insieme, potendo ascoltare dal vivo la tua fantastica musica. A presto buon tour,Ciao Gianni e Lorena.