Era previsto che dormissi a Verona ieri notte, ma a fine concerto ho salutato tutti, ho caricato la macchina e ho guidato dritto fino a casa. Ho pensato che in fondo la distanza non eccessiva mi avrebbe permesso una traversata agevole e veloce, sebbene notturna, così da poter dormire sul mio letto e riabbracciare la mia famiglia un giorno prima, questa mattina. Ma mi sbagliavo. Sono stato uno sciocco a non considerare la stanchezza già avvertita durante l’esibizione, a ignorarne la portata, e così per l’intero viaggio ho combattuto con le palpebre pesanti e l’autostrada deserta che proprio non voleva saperne di stare ferma. Ho dovuto più volte fermarmi, perché almeno in due occasioni mi sono ritrovato dalla prima alla terza corsia senza neppure accorgermene.
Quando ormai a notte fonda ho appoggiato la testa sul cuscino, dentro la mia casa persa in un sonno profondo, ho ringraziato il cielo e bacchettato la mia leggerezza e la mia ingenuità, promettendo a me stesso che mai più avrei corso un simile rischio.
A farmi da sveglia qualche ora dopo è stata l’imboscata dei miei figli tra le lenzuola del mio letto, diventato per un quarto d’ora abbondante un felice campo di battaglia, tra coccole, giochi e scherzi. Rivedere mia moglie e i miei bimbi ha dato vigore ai miei muscoli stanchi, freschezza agli occhi gonfi e gioia a un cuore incompleto per almeno tre giorni, giustificando in parte lo scriteriato viaggio notturno intrapreso per raggiungerli.
È stata una sorpresa apprendere che, non aspettandomi oggi, Novella e i bambini si erano organizzati per una gita fuori porta per l’intera giornata. Considerata l’esplosione di luce e calore di un sole alto e fiero, era in effetti la soluzione migliore per la mia famiglia, avendo io nel pomeriggio l’ultimo concerto di questa prima parte del tour. Così ho fatto il pieno dei loro sorrisi, ho caricato nuovamente la macchina e ho ripreso il mio viaggio, facendo tappa a casa dei miei per un pranzo veloce.
Ho raggiunto Taggì di Sotto, un piccolo paesino a nord di Padova, poco dopo le quattro e ho parcheggiato accanto alla casa che avrebbe di lì a poco aperto le porte alla mia musica, pronto per mettermi in gioco nuovamente, più ostinato che mai.
La proposta del concerto in casa (vedi “Concerto a domicilio – Apri le porte alla musica”) è ormai un modo di fare musica a cui non potrei più rinunciare, per certi versi la preferisco anche a quella dei consueti concerti pubblici con palco, luci e grandi platee. Certo l’idea di un teatro gremito, coinvolto e appagato è pur sempre un’ambizione viva nel mio cuore (in effetti quale musicista non lo desidererebbe?), ma l’interazione che si crea in eventi di questo tipo, in cui lo spazio formale tra chi suona e chi ascolta si evolve e si accorcia fino a sparire del tutto, è di diversa natura, contenuta nelle dimensioni, ma senza alcun perimetro emozionale.
La scelta di Martina di festeggiare il suo compleanno aprendo casa sua alla mie note, creando un’occasione di condivisione tra le più belle e complete che io conosca, mi riferisco al desiderato abbandono di orecchie e cuore alla musica di un qualsiasi concerto, ha trovato il conforto di un gruppo di amici davvero splendido, unito e tenuto saldo da un evidente feeling, che mi ha abbracciato con un semicerchio di sedie e un ascolto coinvolto e curioso.
È stato un piacevolissimo concerto, a volte intenso a volte ironico, tenuto vivo dalle danze e i sorrisi dei due bimbi in mezzo ai nostri mondi, come se fossero il ponte necessario alla loro unione.
Ho avuto modo di chiacchierare prima e dopo il concerto con delle persone squisite, appassionate da tanti interessi, amanti delle cose genuine, dell’amicizia, della bellezza. È stato davvero un bel modo per concludere la prima parte di questo tour, questo lungo viaggio alle cui distanze sono grato e che già da giovedì prossimo riprenderà a macinare chilometri, musica e sogni. Tanti sogni.