Non che sia una fissazione, certo. Ma è un po’ strano, tutto qui. Cioè, stare seduto su questa poltroncina, come se fossi nel salotto di casa mia, mentre in realtà tutti noi stiamo schizzando indietro nel tempo a quasi novecento chilometri all’ora, sospesi a più di diecimila metri, è una faccenda a cui non mi abituerò mai. L’ho fatto solo due volte, intendiamoci, non volo dall’altra parte del mondo tutti i giorni. Ma non potrò mai abituarmi a una cosa del genere, giuro.

Comunque, eccomi di nuovo qui. Su di un aereo, a correre dietro alla musica con due magliette e tre paia di mutande nella valigia, niente di più. Giusto la stessa malinconia e lo stesso timore di sempre, quelli sì che me li porto appresso continuamente, non ne rimango mai sprovvisto a ogni nuova partenza. Alla faccia della mia apparente sfrontatezza!

È che più passa il tempo e più mi accorgo che in effetti le cose non cambiano: ogni viaggio mi disarma, mi eccita e mi intimorisce allo stesso modo e con la medesima forza. E sai che c’è? Mi piace. Questa amara euforia mi fa sentire vivo come non mai. Sì, insomma, può suonare stucchevole, me ne rendo conto, ma giuro che è così!

Sarà che le novità riescono sempre a sedurmi, anche quando mi fanno paura. Sarà che a stare fermo proprio non ci riesco, come quando arriva l’ora di andare a letto e non ci vado, perché penso che potrei fare ancora qualcos’altro prima di dormire. O forse è perché quando sono stanco straparlo. Fatto sta che a fare i conti con il mio umore quando sono in viaggio, si rischia di non avere grosse sorprese. E infatti, voilà: eccitazione e paura, euforia e malinconia servite calde sul vassoio, anche questa volta.

Va beh, c’è da dire che un viaggio così lungo scombussolerebbe chiunque. Anche l’anno scorso è successo con questa veemenza [leggi “NAMM Show 2014 (1)”], probabilmente è per questo che sento il bisogno di scrivere. Scrivere mi aiuta e non solo a non annoiarmi durante il volo, mi permette di mappare i miei pensieri e le mie reazioni. È una specie di terapia contro il casino che ho in testa, proprio come la musica.

Scrittura e musica, più che mai. Accuratamente separate, coniugate con la giusta parsimonia, ma a dosi massicce. Ne ho bisogno, capisci? Mi servono. Se però la scrittura è il medicinale che censisce ed equilibra le mie confuse emozioni, la musica è molto di più. Cioè è anche questo, ma c’è dell’altro. La musica è una missione. Suona un po’ troppo avventato? Non so che dire, davvero, tranne che è così.

Non è solo comporre e suonare, stare su un palco e giocare a fare il divo, per me è stanare la bellezza per poterla divulgare e condividerne i benefici, solo ed esclusivamente con l’enorme potenziale della propria unicità. Una cosa pazzesca, da perderci il sonno! A quale missione più nobile si potrebbe ambire? E l’aspetto più eccitante della faccenda sai qual è? Che bisogna viaggiare. Per compiere questa ricerca è necessario spostarsi e cercare. Inseguire la musica per afferrare la bellezza.

Forse è per questo che sono malinconico ogni volta che parto, perché di bellezza vorrei si saziassero le ore di tutti i miei giorni e naturalmente non è così. Allora parto, la cerco affamato, ma non sempre la trovo. Chissà se in questi cinque giorni ad Anaheim, tra le luci e le note del NAMM e dei concerti serali, ne scorgerò qualche traccia! Insomma, l’America è sempre l’America, giusto?

Comunque, anche se non dovessi trovarla, non sarebbe un grosso problema, in effetti darle la caccia concede la medesima gratificazione, sebbene con toni differenti. Azzardo? Spesso è meglio rimanere all’asciutto, così da non smettere di cercare. Anche perché i suoi benefici sono per natura poco durevoli, cioè quando se ne gusta il sapore tende sempre a svanire troppo in fretta. E dunque, California eccomi: la caccia è aperta!


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