Ho aspettato per più di un’ora davanti al carrello dei bagagli over size. Ho visto passare di tutto su quel tapis roulant, cose che mai avrei creduto si potessero imbarcare su di un aereo, ma niente che assomigliasse a una chitarra.
Stordito e affaticato da un inusuale viaggio nel tempo, ho atteso finché tra i suoni e lo slang dello speaker ho decodificato il mio cognome, una specie di sentenza al megafono che sanciva l’irrimediabile. Quando ho saputo che la mia chitarra era rimasta a Londra, intrappolata tra gli ingarbugliati scambi di uno scalo, ho assaporato l’amara realtà che prima o poi, un simile cucchiaio di sterco, capita a tutti di mandarlo giù. Neppure sapere che mi sarebbe stata recapitata l’indomani in albergo mi ha confortato al momento, perché per un chitarrista una chitarra smarrita è un disastro difficile da gestire.
Così ho raggiunto Mark, Frank e Maria, gli amici di Engler Innovations, con l’umore mezzo azzoppato dalla infausta notizia e la testa intontita dal jet lag, sperando in una repentina svolta emotiva. A soccorrermi nel disagio è stata la simpatia contagiosa dei miei nuovi amici, appena fuori dall’aeroporto, assieme all’eccitazione sempre più amplificata di essere volato in America. A certe sinergie, in effetti, è difficile porre resistenza.
Prima di andare ad Anaheim, lì dove il NAMM show prende vita ormai da anni, ci siamo fermati in un bellissimo club a Santa Monica, l’“Off The Wall”, una specie di salotto con un palco e chitarre appese al muro come quadri. In un silenzio gentile e intenso, una cinquantina di persone stavano assistendo al concerto di Christie Lenée, la bravissima chitarrista e cantautrice chiamata a esibirsi allo stand di Engler Innovation nei giorni della fiera, così come me e altri eccellenti chitarristi americani.
Che ad accogliermi siano stati l’affetto gratuito dei miei nuovi amici e la musica di un bellissimo live è uno di quei rari privilegi per cui ringraziare appare perfino poca cosa. Mi sono sentito atteso e ben voluto, come se un’intera nazione avesse preparato da tempo e con cura i dettagli di un caloroso benvenuto, così da farmi sentire a casa, tra la mia gente.
Anche i miei limiti linguistici sono stati mitigati da una sensibilità che non avevo mai sperimentato all’estero. Certo, sarebbe il caso che prima o poi mi decida a imparare l’inglese, invece di ciancicare suoni orribili e concetti senza senso.
A ogni modo, già dalla mia prima esibizione nello stand 1534, la mattina seguente, tutte le persone che ho incontrato tra i corridoi dell’immenso Convention Center di Anaheim, hanno incoraggiato il mio pessimo slang, con rispetto, disponibilità e una buona dose di risate. C’è da dire che le mie connessioni celebrali hanno rischiato più volte il collasso, per via della parlantina supersonica dei miei interlocutori, ma la comunicazione ha quasi sempre raggiunto il suo scopo, aiutata dalla sensazione di essere tutti della stessa squadra, lì dentro. La portata e gli sfarzi della fiera hanno fatto il resto.
Il NAMM show è una giostra. Come l’America. Tutto sembra più grande, più colorato e pare che prima o dopo qualcosa di speciale debba accadere. Con lo stesso stupore con cui mi sono guardato intorno tra le strade californiane, così ho fatto tra gli stand della fiera, tra una mia performance e l’altra.
Mi sono lasciato sedurre da ogni chitarra e da ogni accessorio che ho provato, come un bambino circondato dai balocchi, desiderando tutto con una bramosia che non mi appartiene e che ha sorpreso anche me. Non ho fatto che camminare da uno stand all’altro, in effetti, ma sebbene abbia seguito con dovizia i corridoi di tutte le hall, non credo di essere riuscito a beneficiare di tutte le proposte, è probabile che più di qualcosa mi sia sfuggito. Il fatto è che il Convention Center è talmente grande che alla fine ho dovuto fare una selezione, scegliendo di dare priorità a tutti quei brand difficilmente reperibili in Italia.
Lo stand del capo di cui sono endorser, il Paige Capo, è stato il primo che ho visitato, per avere finalmente l’opportunità di conoscere di persona Bryan Paige, un uomo mite e gentile che mi ha riempito di attenzioni. Successivamente mi sono concesso il privilegio di provare ogni cosa mi capitasse sotto mano, trovando molte soluzioni innovative e interessanti per cui ci vorrebbero una serie innumerevoli di articoli specifici.
Poi, all’ennesimo stand, mi sono imbattuto in un’idea geniale e davvero opportuna, considerate le vicende aeroportuali del mio strumento. Una chitarra da viaggio prodotta da Journey Instrument, la Overhead travel guitar, il cui manico si sgancia con semplicità ed efficacia, rendendo lo strumento un bagaglio a mano. James e Rob, i due partner del brand, mi hanno accolto con disponibilità e curiosità nel loro mondo, tanto che l’empatia e la stima immediate si sono trasformate in un’inizio di collaborazione. Credo che ci saranno degli sviluppi interessanti al riguardo.
Naturalmente, oltre alle tappe negli stand, ciò che ha gratificato il mio spirito sono state le regolari esibizioni con il martello per chitarra The Engle, motivo per cui ero lì, tutte andate alla grande. Mi sono alternato a eccellenti chitarristi, persone straordinarie con cui ho vissuto fianco a fianco ogni istante della mia esperienza americana: Trevor Gordon Hall, Christie Lenée, Sean Callero, Henry Nam, Donovan Raitt, il duo Granicy Square e Joe Cosas. A loro va tutta la mia stima e la mia gratitudine.
Intendiamoci, è necessario essere un addetto ai lavori per non soccombere sotto la cacofonia generata dalla simultanea esibizione di molti artisti e dimostratori e la ressa a volte insostenibile, ma diventano tutti dettagli insignificanti quando in posti del genere conosci persone così solari ed interessanti. Quello che è riuscito ad attenuare rumore, confusione e stanchezza, infatti (credo di aver dormito una manciata di ore in tutto), oltre naturalmente alla meraviglia costantemente a livelli irragionevoli, sono stati gli incontri e le interazioni umane.
In questi quattro giorni ho avuto l’occasione di incontrare e fare due chiacchiere piacevoli anche con molti artisti internazionali che stimo, chitarristi di valore come Massimo Varini, Thomas Leeb, Stefan Grossman (il colpevole! È stato ascoltando e studiando la sua musica che ho cominciato a suonare il fingertsyle) e di godere della compagnia e della fiducia incondizionata di Mark Engler, Frank Dancy e Maria Dilemmo, persone splendide di cui sento già la mancanza. Ho trovato dei nuovi amici in America e la cosa mi rende così felice da mettere in secondo piano perfino la musica, per una volta. Grazie a tutti ragazzi. Ci vediamo presto!
In aereo, al mio ritorno, mi sono sparato una dormita di dodici ore consecutive, tanto che mi sono ritrovato a Londra, nel bus che mi ha portato dall’aeroporto di Heathrow a quello di Gatwick, senza neanche accorgermene. Tanto per cambiare, durante lo scalo, hanno perso nuovamente la mia chitarra, anche se solo per una mezzoretta a causa un banale scambio di rullo, ma è bastata a farmi tornare il capogiro. Che dire, Overhead travel guitar: a me!
Ora sono sull’aereo che mi sta riportando a casa, sopra una coperta di nuvole soffici che ricopre il mondo, e ho solo una cosa in mente. La mia famiglia.
Luca, nel tuo racconto ho rivissuto parola per parola l’emozione del mio primo viaggio in California nel lontano gennaio di 25 anni fa, per una fiera informatica. Stessi turbamenti da fuso orario e da mega spazi, stessi problemi con la lingua (non che adesso sia molto meglio…), ma l’incredibile contatto con un popolo meraviglioso, che fa di tutto per metterti a tuo agio, rispettarti e dare amicizia.
Grazie!
Giorgio