La questione è talmente semplice da apparire perfino banale. Così come appare banale la regolarità con cui si presenta alla soglia di ogni mio progetto o viaggio che sia, non appena la scintilla di una nuova idea oppure il motore della mia auto o di un aereo si accende, stuzzicando e non poco le mie ambizioni.
Mi rendo conto di quanto sia inevitabile, soprattutto di questi tempi, ed è certamente comprensibile, perché in effetti appare più che lecita, considerando il naturale interesse e la naturale premura delle persone che orbitano per un motivo o per un altro attorno al mio lavoro di artista, dal conoscente all’amico più caro, fino ad arrivare alla mia famiglia.
Di cosa sto parlando? Dell’analisi dei rischi, ovvero l’accurato confronto delle risorse da mettere in gioco per affrontare qualsiasi progetto con i vantaggi che se ne potrebbero trarre, benché di frequente (anzi, sempre) siano gli altri a preoccuparsene per me, con domande tipo: «Ma è conveniente alimentare questa idea o affrontare la distanza e i costi di questo viaggio?», «Ma sei certo che a tutta questa fatica corrispondano vantaggi di uguale portata?».
Di domande simili ne esistono di diverse forme e Dio solo sa quante ne ho sentite! Tuttavia un’unica domanda — direi la domanda — sa riassumere con straordinaria efficacia le intenzioni di ogni interrogativo al riguardo. Cinque brevi, semplici e dirette parole che marchiano a fuoco il germoglio di qualsiasi iniziativa: ma ne vale la pena?
Naturalmente, questo va detto, tale analisi e il più che probabile eccessivo timore di chi la compie che ne consegue non sono un’esclusiva di categorie specifiche (l’arte, nel mio caso), né un mio personalissimo grattacapo da ridimensionare, perché ogni lavoro presenta intrinsecamente dubbi e grame da affrontare e di certo ognuno lo fa con le proprie capacità di approccio e giudizio.
Non potendo tuttavia farmi portavoce di esperienze altrui, benché simili o addirittura identiche alla mia, mi limito a considerare la personale reazione ai dubbi seriali pre-progettuali e lo faccio constatando che ogni volta, alla domanda in questione, la mia risposta non cambia mai.
Non importa quale idea io voglia sviluppare o quale viaggio intraprendere, se i benefici dei miei sogni artistici, semplici o folli che siano, saranno certamente minimi o se l’energia dispersa per compierli non verrà affatto ripagata, la mia risposta è sempre quella, sempre la stessa.
Ma ne vale la pena? Sì.
Se si disponessero sul tavolo tutti i numeri di un’attenta analisi riguardo a lavoro e vantaggi, in effetti ogni aspetto del mio mestiere risulterebbe oltremodo sconveniente. Provando a restare lucidi e a non cedere al più noioso dei vittimismi, ci sarebbe da chiedersi, infatti, perché passare diciannove ore al giorno a schiena curva su idee e progetti che nella migliore delle ipotesi produrranno una manciata di visualizzazioni, i complimenti di pochi affezionati e pile di dischi e libri parcheggiati in garage?
Quindi, a conti fatti, non varrebbe la pena sudare, gioire e piangere su lavori sconvenienti, sarebbe sciocco e controproducente. Ma allora perché rispondere ogni giorno “sì”? Perché ostinarsi, mettendo a rischio ogni cosa e giocando pericolosamente con la sostenibilità familiare? Perché amo quello che faccio, incondizionatamente, e perché, a guardare soltanto i numeri, si congelerebbero in modo inesorabile il coraggio di rischiare e la spregiudicatezza di investire in ciò in cui credo.
A pensarci bene, senza coraggio e spregiudicatezza l’intera storia sarebbe diversa, perché la storia l’hanno scritta (la scrivono e la scriveranno sempre) i pionieri, in tutti campi: amanti instancabili del proprio talento — chissà quante volte celebrato e maledetto! — che hanno strappato impavidi la sentenza di qualsiasi analisi di rischio, si sono adattati al percorso sconnesso e si sono predisposti al sacrificio, anche a fallimento imminente, per provare ad aggiungere qualcosa di nuovo a questo mondo, restando sempre loro stessi.
Lo so, magari non ci paghi l’affitto con questa folle inclinazione, ma questo approccio passionale e istintivo gratifica il mio cuore e conforta la mia testa, benché non sia affatto semplice perseguirne gli intenti. Così, ogni volta che qualcuno si preoccupa della criticità delle mie scelte e mi domanda: «Ma ne vale la pena?», io mi tengo stretta la mia incomprensibile (o salvifica?) attitudine a incasinarmi la vita e mi affido. Con tutto me stesso.