Esiste uno strano limbo in cui un artista si ritrova agli inizi della sua proposta pubblica, un primo stadio di notorietà le cui condizioni di evoluzione e durata sono insolite e strettamente legate agli ingranaggi del mercato a cui si rivolge. Chi sosta all’interno di questo perimetro invisibile viene da tutti definito “emergente”. Ma cosa vuol dire questo termine? Chi sono realmente gli “emergenti”?
Un chiarimento credo sia necessario, perché il termine “emergente” è fonte di una serie di atteggiamenti che il mondo assume nei confronti di chi viene marchiato con questa etichetta, a volte indelebile. Da che cosa si deve emergere? Dall’anonimato? Serve dunque nuotare in apnea verso la superficie e rimanere costantemente e faticosamente a galla per essere notati? Sembrerebbe di sì, percorrendo a rapido volo d’uccello tutte le discipline artistiche.
Ma è davvero così stretto il collo d’imbuto dell’attenzione collettiva, tanto che solo se si “emerge” si è degni di attenzione? Considerando che il talento spesso non è sinonimo di notorietà e viceversa, allora cosa significa “emergente”?
Io credo che sia una faccenda piuttosto importante, non tanto per l’etimologia del termine, quanto per la considerazione e il rispetto che questo marchio conferisce all’artista in questione, soprattutto agli occhi dei committenti. Di frequente, infatti, si piange povertà quando si tratta di riconoscere a un “emergente” un lavoro, usando con astuzia la promessa (o il ricatto) di un’amplificata visibilità. In sostanza, se vieni etichettato come “emergente” è del tutto giustificata l’assenza di ogni forma di pagamento a beneficio di un’importante vetrina, per la quale poco manca che debba essere tu a pagare un tributo per poter godere dell’occasione.
Ma giocare sulle emozioni e sui sogni di qualcuno, prospettandogli un grande pubblico per non pagarlo, così da conservare le risorse per gli artisti “emersi” e avere nel contempo un numero sostanzioso di “emergenti” per dimostrare che si dà spazio alle nuove voci, è un atteggiamento ingordo e poco corretto. Vorrei vedere un giorno tutti gli artisti “emergenti” dire no a questa routine, sarebbe il giorno in cui forse cambierebbe qualcosa al riguardo.
Perché “emergente” è solo una parola, niente di più! E quel limbo distorto di schiere di artisti in attesa, che abbiamo deciso di definire e catalogare con questa etichetta, non è che un inganno pericoloso, un badge che serve ai mercanti, la sosta (per altro spesso definitiva) di un percorso illusorio che non gode di un naturale processo evolutivo, ma è scandito piuttosto da tappe arbitrarie, che mai e con nessun criterio oggettivo sono il sunto progressivo delle doti di un artista. Mai. Ecco perché “emergente” non vuol dire un bel niente!
Ma se proprio vogliamo stare al gioco dei benpensanti e intendiamo usare il termine “emergente” come un necessario e inevitabile filtro, allora che si utilizzi l’accezione che più si avvicina alla realtà del nostro contesto, quella cioè di “purezza”, che infine definisce un artista emergente come un artista puro e non ancora corrotto da atteggiamenti auto celebrativi e dinamiche di un mercato assai confuso, a volte ridicolo.
Apprezzo e ringrazio per questo chiarimento.
Sono un’artista “semi-emersa” e comprendo molto bene questo vostro testo e mi incoraggia a proseguire nella selezione (per altro difficilissima da fare) delle proposte che ricevo in assurda abbondanza, sempre a pagamento, ovviamente, per esposizioni o servizi a mò di labirinto!
Cordialmente
Carlotta
Ciao Carlotta, grazie per aver letto le mie parole e per averle commentate, condividendo la tua esperienza. Sono felice che questa mia riflessione, fatta ormai undici anni fa (e di fatto rimasta inalterata nel corso del tempo), ti sia stata utile per il tuo percorso artistico. Spero diventi sempre meno labirintico (auspicio che, in effetti, allargo a tutti gli artisti, me compreso). Ti auguro il meglio. A presto.