Da sempre il cielo e le stelle sono negli occhi e nei cuori dell’uomo, riferimenti di versi e viaggi per poeti e viaggiatori, meraviglie da godere per chiunque. Ancor più affascinante, poi, è trovarli anche nelle parole, in quei termini usati superficialmente tutti i giorni ma che agli occhi di chi sa spingersi oltre rivelano una luce inaspettata. Sono le parole che hanno il cielo dentro.

“Desiderio” [dal latino “de” (privativo) e “sidus” (stella): “mancanza delle stelle”] si traduce etimologicamente nell’atto di contemplare il cielo nell’attesa di dare orientamento e senso al proprio cammino. Chi desidera alza idealmente gli occhi al cielo e, disorientato, spera di scovare il riferimento per appagare il suo bisogno.

“Considerare” [dal latino “con” (insieme) e “sidus” (stella): “contemplare le stelle”] invece è il compimento del desiderio: godere del firmamento e delle sue indicazioni perché il proprio percorso ne tragga vantaggio. Chi considera qualcosa idealmente la esamina come si farebbe con le stelle per trarne un auspicio.

Anche il termine “auspicio” [dal latino “àvis” (uccelli) e “spício” (osservare)], seppur indirettamente, ha a che fare con il cielo e con il bisogno di riferimenti: era infatti la pratica di trovare presagi divini osservando il volo degli uccelli.

“Disastro” [dal latino “dis” (particella che indica negazione, separazione e allontanamento) e “àstrum” (stella): “allontanamento dalle stelle”] è perdere il cammino, senza riferimenti alcuni: un danno devastante per qualsiasi percorso.

È davvero stupefacente la bellezza delle parole!


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