Il termine “ozio” [dal latino “otium” (agio, riposo)], ha un significato molto più profondo e interessante della distorta accezione generata ed evolutasi nei nostri tempi confusi. Di certo non vuol dire “pigra nullafacenza” o “immobilità”, così come viene inteso oggi.

I latini chiamavano “ozio” il tempo che dedicavano all’esercizio dello spirito, della mente e dell’animo, un momento in cui prediligevano comporre, studiare e tenere vivo l’intelletto, considerandolo occasione di agio e riposo da contrapporre al tempo in cui gestivano gli affari della propria professione, da cui il termine “negozio” [dal latino “nec” (negazione) e “otium” (agio, riposo): “assenza di ozio”]. Non è un caso che “scuola” (dal greco “scholé”, equivalente latino è “otium”) voglia dire “tempo beato, lontano da ogni fatica e preoccupazione” (leggi “‘Studiare’ vuol dire ‘amare’”).

Considerata la miserevole e odierna convinzione, oltretutto falsa e ottusa, che tutto ciò che non garantisce uno stipendio fisso è da ritenersi una faccenda futile, la tipica scorciatoia di chi proprio non vuole saperne di faticare, è facilmente intuibile il processo di aberrazione [da latino “aberràre”, composto da “ab” (particella che indica allontanamento) e “erràre” (vagare senza sapere dove): “deviare dal vero”] che la parola “ozio” ha subito nel corso della storia: solo se sei produttivo e supporti gli ingranaggi della macchina economica fai del tuo tempo una cosa nobile, altrimenti lo occupi in modo “inattivo, per indole pigra e indolente”, così come recita il dizionario della lingua italiana alla voce “oziare”. Niente di più lontano dal reale.


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