Probabilmente è uno dei viaggi che più mi affascina e più mi incuriosisce, quello di alcuni sacerdoti e astronomi zoroastriani (seguaci della religione e della filosofia basata sugli insegnamenti del profeta Zarathuštra) che partirono da Sippar, antica città Babilonese fra il Tigri e l’Eufrate, e in sella a un cammello percorsero quasi mille chilometri, seguendo la luce di una stella.
L’unica fonte cristiana che narra la vicenda dei Magi (traslitterazione del termine greco “magos’, un titolo riferito specificamente ai sacerdoti dello Zoroastrismo) è il Vangelo di Matteo (Matteo 2,1-12.16), in cui sono assenti gran parte dei dettagli che la tradizione cristiana ha poi adottato nel corso dei secoli.
Non vi è alcun riferimento, ad esempio, né al fatto che i Magi fossero in tre né al fatto che fossero re, informazioni ipotizzate probabilmente dal numero dei doni offerti (oro, incenso e mirra) e dalle profezie dell’Antico Testamento (Isaia 60:3, Salmi 72:10 e 68:29) che parlano dell’adorazione del Messia da parte di alcuni re.
Così come non è specificato l’intervallo di tempo trascorso tra la nascita di Gesù e il loro arrivo a Betlemme, tradizionalmente identificato nei dodici giorni che separano il Natale dall’Epifania, né che Gesù e i suoi si trovassero ancora lì dove Maria lo aveva partorito. Non vengono fornite, infatti, indicazioni su un luogo specificatamente indicato dalla stella (la capanna), bensì una più generica collocazione nel cielo sopra la città.
Ma soprattutto non si fa riferimento alcuno alla stella cometa, divenuta col tempo icona dei nostri presepi, ma che di fatto ha una natura fortemente contraddittoria nella sua dicitura, essendo una stella e una cometa due corpi celesti completamente differenti tra loro e accorpati dunque senza nessuna logica.
Nel testo dell’evangelista, di fatto, si parla di alcuni Magi d’oriente, uomini sapienti e d’alto rango, considerati il lungo e costoso viaggio intrapreso e i loro doni preziosi, spinti a partire da un fenomeno astronomico di una certa rilevanza che Matteo identifica (nell’esemplare più vecchio del Vangelo, risalente al 70 d.C., scritto in greco e tradotto direttamente dell’originale in aramaico del 50 d.C.) con la parola “astron”, cioè “stella” o anche “evento del cielo”.
Evento del cielo che tuttavia fu interpretato come un importante simbolo messianico soltanto da loro, se si considera che una volta arrivati a Gerusalemme e informato Erode, nessuno degli scribi e dei sommi sacerdoti del re sembrava esserne al corrente. Dunque è escluso che possa essere stata una cometa a guidare i Magi, la cui scia sarebbe stata fin troppo visibile.
In effetti fu Giotto a rappresentare per primo la stella di Betlemme come una cometa, negli affreschi della Cappella degli Scrovegni di Padova realizzati nel 1303, stravolgendo l’iconografia durata secoli, fin dalla prima rappresentazione artistica dei Magi della catacomba di Santa Priscilla a Roma, risalente al III secolo d.C..
È probabile che fu il collettivo stupore provocato dal passaggio della cometa di Halley, avvistata nel cielo proprio due anni prima, a ispirare il geniale artista fiorentino nella rappresentazione della Natività, la cui intuizione di identificazione definì in poco più di settant’anni la nuova direzione simbolica dell’evento.
L’ipotesi che proprio la cometa di Halley possa essere stata la guida dei Magi, avanzata da alcuni studiosi, non solo cade per la già citata eloquenza di un suo passaggio, difficilmente trascurabile dagli astronomi di re Erode, ma anche perché la cometa fece la sua comparsa nei cieli di Betlemme il 12 a.C., ben cinque anni prima dell’intervallo di tempo in cui si presume sia nato Gesù, ritenuto attendibile ormai da tutti gli storici, ovvero dal 7 al 4 a.C.
Risale invece al marzo del 5 a.C. l’avvistamento di una nuova stella nel cielo, probabilmente tracce dell’esplosione di una supernova rimaste visibili per circa settanta giorni tra le costellazioni dell’Aquila e del Capricorno e segnalate nelle “Ventiquattro storie”, imponenti e autorevoli cronache sulla storia e sulla cultura cinese.
Tuttavia una supernova non cambia la sua posizione notte dopo notte, ma si muove in cielo attorno alla stella polare, proprio come tutte le altre stelle. Inoltre, essendo fenomeni non prevedibili, le apparizioni di nove o supernove venivano interpretate dagli astrologi dell’epoca come presagio di eventi negativi, e non poteva essere certo questo il motivo del primo pellegrinaggio cristiano della storia.
Ma allora cosa guidò i Magi?
Il termine “pianeta” (dal greco “planètes”) significa “vagabondo”, perché i pianeti sembrano muoversi nella volta celeste velocemente e in modo indipendente rispetto alle stelle. Nel cielo, i cinque pianeti visibili a occhio nudo (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno) possono sembrare avvicinarsi anche moltissimo fra loro, a causa dell’effetto prospettico dovuto al nostro punto di vista terrestre. Queste congiunzioni planetarie forniscono indubbiamente uno spettacolo denso di fascino e, per gli antichi astrologi al tempo dei Magi, di significati simbolici di grande rilevanza.
Fu Giovanni Keplero, nel suo “De anno natali Christi” del 1614, il primo a segnalare una tripla congiunzione tra Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci, poi raggiunti anche da Marte, da maggio a dicembre del 7 a.C., un fenomeno previsto già un anno prima, come testimoniano alcune tavolette babilonesi datate 8 a.C..
Sebbene sotto gli occhi di tutti, solo i Magi attribuirono a tale fenomeno un significato straordinario, in grado com’erano di prevedere prima e riconoscere poi simboli precisi della cultura ebraica, considerata la sua diffusione nelle loro terre a causa della deportazione del VI secolo a.C. del popolo ebreo a Babilonia e la possibile presenza di ebrei in Mesopotamia.
Secondo la cultura del tempo, infatti, Giove era simbolo di regalità e divinità, Saturno di giustizia e la costellazione dei Pesci del popolo di Israele. Il fenomeno astronomico venne dunque interpretato come la fine del vecchio ordine del mondo e la nascita di un nuovo Re di giustizia, mandato da Dio.
Così i Magi, dopo aver osservato la prima congiunzione e calcolato le due successive, nel maggio del 7 a.C. decisero di partire per Gerusalemme, per rendere lode al nuovo Re di Israele. In autunno, ancora in viaggio, osservarono la seconda congiunzione planetaria e nel mese di dicembre, informati dagli scribi di Erode sulla città natale del Messia profetizzata dalle Scritture, contemplarono i pianeti durante la terza congiunzione, proprio davanti al loro cammino, quasi immobili e brillanti sul cielo di Betlemme.
Affascinante davvero. È commuovente e sorprendente pensare al fermento degli astri, in un cielo che attende — come la madre e un padre, come un popolo intero — e capace di organizzare i suoi corpi celesti con una precisione universale, così da essere segno di un disegno perfetto e paziente.
Chissà a cosa pensarono i Magi durante il loro lungo viaggio! Chissà la trepida attesa condivisa nelle notti accampate, chissà che energia e quale immagini abitarono le loro aspettative, consapevoli, com’erano, dell’intera architettura profetica. La gioia, profonda e durevole, deve essere esplosa nei loro occhi, di fronte a quel bimbo a lungo atteso. A lungo rincorso.