Quando ho iniziato a suonare la tecnica del fingerstyle, ormai vent’anni fa, l’aspetto di cui mi sono innamorato subito — e alla follia! — è stato l’autonomia polifonica e ritmica dello strumento. Considerato che all’epoca le dinamiche della band in cui suonavo e cantavo le mie canzoni cominciavano a starmi strette, l’autonomia che garantisce questa tecnica e il fascino di poterla eseguire sulla mia chitarra mi hanno fornito il giusto coraggio per lasciare tutto e provare a fare da solo. A fare da me.

Stiamo parlando di un mondo senza internet. Un mondo senza scambi veloci, in cui spartiti e tablature fingerstyle, se andava bene, erano nascosti in qualche negozietto per appassionati, all’angolo di vie lontane e sconosciute. Ma il desiderio di imparare e gli incontri con le persone giuste, opportunamente combinati dalla vita, mi hanno permesso di studiare e di imparare il fingerstyle, diventato nel giro di poco tempo il linguaggio definitivo della mia proposta artistica.

Poi il tempo è schizzato via, velocissimo! In circa due decenni si sono sviluppati innovazioni che hanno accorciato le distanze e allungato la portata della divulgazione e una gigantesca lente d’ingrandimento è apparsa sopra ogni angolo del mondo a ingrandire — e a volte anche a distorcere — qualsiasi idea, dando larga visione, nello specifico, a una flotta carica di sogni e novità di chitarristi acustici.

Questa lenta evoluzione ha arricchito tutti quanti, semplici ascoltatori e addetti ai lavori, perché ha concesso a ogni latitudine la possibilità di vedere e ascoltare non solo musica nuova, opportunità di per sé già gratificante, ma anche nuove e affascinanti tecniche esecutive con cui eseguirla, soluzioni che hanno spinto all’estremo le potenzialità della chitarra acustica e hanno alimentato prima e sostenuto poi un incontenibile effetto “wow”.

E così, il vortice adrenalinico di esecuzione e reazione ha processato il linguaggio fingerstyle, mutandone la forma e definendo sulle corde nuovi e specifici connotati tecnici e ritmici, probabilmente diretti nella stessa direzione di cambiamento della musica mainstream, sempre più scandita nella divulgazione a più ampio raggio da ritmiche hip pop.

Percussioni e tapping, dunque, sono diventati un aspetto esecutivo molto importante della chitarra acustica, se non addirittura prioritario, e hanno ampliato a dismisura quell’autonomia polifonica e ritmica di cui mi ero follemente innamorato a vent’anni e che mai avrei immaginato si potesse evolvere in modo così sorprendente.

In effetti, ha dell’incredibile! Con questo nuovo linguaggio, da molti definito il “moderno fingerstyle”, la chitarra diventa una vera e propria batteria capace di scandire ritmi complessi e portanti, una soluzione che combinata alla tecnica del tapping fornisce una resa polifonica davvero suggestiva ed efficace. Certo non è facile percuotere fascia e cassa e contemporaneamente sviluppare un’idea melodica sulle corde, ma questo non fa che rinvigorire l’effetto “wow”, principale forza motrice del vortice esecuzione-reazione.

È sufficiente fare una rapida ricerca in rete per rendersi conto della portata del fenomeno “finger percussion”. I chitarristi acustici non fanno che ricorrere a questa soluzione tecnica, a volte anche per un repertorio intero, spingendo a tavoletta sull’aspetto ritmico dello strumento e percuotendolo in tutti i modi possibili, così da ottenere i suoni più differenti, assieme alla sensazione, sempre più evidente, che a suonare sia (anche) una batteria.

La cosa funziona, la cosa piace. I numeri parlano chiaro, così come pure il gradimento. Ma c’è da dire una cosa. La chitarra acustica non è una batteria.

Il suo evidente potenziale percussivo, probabilmente l’aspetto chitarristico capace di generare l’effetto “wow” di maggiore portata, non ne fa comunque una batteria, ma appartiene alle possibilità sonore di uno strumento a corde. È vero che alla ricerca e alla sperimentazione dell’atto creativo non si deve porre limiti, ma eccedere in una direzione, per altro palesemente secondaria allo scopo originario dello strumento, potrebbe creare uno squilibrio esecutivo difficile da gestire (leggi “Emotività e tecnica”), soprattutto se la scelta di percuotere senza freni la chitarra è più vicina all’eccitazione di una replica che non all’indole dell’esecutore.

Come accade per qualsiasi linguaggio in qualsiasi scenario culturale, infatti, lentamente l’effetto “wow” finisce con il generare tentativi di emulazione, dapprima contenuti e poi sempre più frequenti. La rincorsa al comune senso di appagamento, ingenuo per certi versi e auspicabile per altri, alla lunga appiattisce la profondità di proposta e stringe la veduta prospettica, con la conseguente uniformità dei risultati, capace purtroppo di svilire anche le intenzioni artistiche più interessanti.

Quello che è in effetti un’affascinante colore sulla tavolozza di suoni e soluzioni possibili, è finito col diventare una chiazza unica che non fornisce e non garantisce più un’identità ben delineata al chitarrista, compromettendone spesso anche il senso dinamico, se si considera che per generare suoni percussivi di un certo impatto e tapping dal volume plausibile è necessario suonare sempre a mille sulle corde.

È indubbio che il groove ha una forte attrattiva, come è evidente che la scelta di affidarsi al suo affascinante portamento è una scelta vincente, seppure spesso derivativa. Mi chiedo, però, se tale soluzione sia sempre la più funzionale. Percuotere la chitarra acustica a tutti i costi potrebbe risultare eccessivo o addirittura inopportuno a volte, finendo in alcune circostanze con l’assumere toni esclusivamente autoreferenziali.

Naturalmente ognuno sceglie il linguaggio tecnico più vicino alla propria indole e al proprio temperamento, la libertà stilistica non è certo in discussione né la qualità che ne deriva, ma la sensazione è che il linguaggio stia prevalendo sul contenuto e che noi figli della chitarra acustica stiamo finendo con l’appiccarci l’uno all’altro in un lungo interminabile video, alle prese sempre con lo stesso pattern ritmico.

A ogni modo, chitarra “wow” o meno, l’auspicio è che a vincere sia sempre la musica, in ogni suo aspetto.


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