Gli incontri. Sfuggenti o importanti, brevi o durevoli lasciano sempre un segno indelebile tra le pieghe del cuore e, sebbene a volte possano apparire superflui, arricchiscono sempre e in ogni caso la storia di un uomo. Non è importante la loro portata oggettiva, quanto il personalissimo peso specifico che assumono nella nostra vita, nel particolare momento e nel particolare luogo in cui si compiono.

Quasi sempre germogli di un cambiamento, rumoroso o silenzioso che sia, gli incontri rendono interessanti le faccende umane, donando intrecci inaspettati ai percorsi delle persone e spesso empatie difficilmente dissolubili.

Il mio mestiere vive di incontri. È un privilegio che hanno poche arti e a inseguire la musica, in effetti, non si può non goderne. Più volte mi è capitato di immergermi nel tepore acquoso di un incontro e difficilmente ne ho scordato il calore, specie quando la musica ci ha messo lo zampino, aprendo scorciatoie alle mie traiettorie.

È accaduto così con i ragazzi dei The Sun, una band italiana piena di energia e carica di positività che ho incrociato lungo il mio cammino umano e artistico, proprio all’altezza di un affaticamento fisico e motivazionale che stava sgonfiando la mia ostinazione, inacidendomi un po’ nei confronti del mondo, della sua riluttanza all’arte e del suo cinismo che non fa che derubare i sogni alle persone, in ogni istante.

Senza che nulla di vistoso e di eclatante sia accaduto, l’empatia germogliata senza rumore o eccessi con Francesco, Riccardo, Matteo e Gianluca – i ragazzi del gruppo – ha donato a loro insaputa e con mia grande sorpresa una nuova direzione alle mie intenzioni, nuova energia alla mia resistenza e nuove ambizioni al mio sogno. Non so spiegarne il motivo (e a dire il vero poco mi importa scoprirlo), ma è accaduto ed è stata proprio la musica a precedere i nostri volti, avvicinandoli. Poi i volti sono diventati un nome e i nomi una storia.

Da qui non è passato molto tempo prima che l’amicizia diventasse collaborazione, d’altronde a quasi tutti gli amici musicisti accade. L’affetto e la stima reciproca hanno infatti avvicinato i nostri due mondi musicali assai diversi, apparentemente incompatibili, animati tuttavia dallo stesso spirito e dal medesimo amore. Così, in un paio di occasioni, ho condiviso il loro stesso palco, invitato dai ragazzi ad aprire la loro esibizione, ed entrambi i miei interventi sono stati una vera e propria “apertura” per me, quella di un nuovo scenario ai miei occhi e quella del mio cuore a quello di tantissima gente, che con ogni probabilità non avrei mai incontrato.

Il 5 luglio scorso sono salito sul palco di Belfiore (VR), di fronte a più di 1300 persone, lo stesso palco e le stesse persone che di lì a poco avrebbero accolto i The Sun. Non era la prima volta che suonavo davanti a così tanta gente, ma non era mai successo che fossi così in prima linea, con il mio nome e la mia musica a precedere i miei passi. Già un’ora prima, dietro le quinte, mentre Francesco scaldava la voce, tentavo di tenere fermi i pensieri e le mani, di domare l’emozione che ogni volta mi taglia la pancia prima di una performance. Fuori sentivo la folla scalpitare, dentro il mio cuore pompare a mille. Quando è stato il momento di muoversi c’è stato solo il tempo di incrociare lo sguardo e gli abbracci affettuosi dei ragazzi, subito dopo ero già sotto il palco. Qualche passo, una breve presentazione e ho sentito scandire il mio nome, prima dalla presentatrice, poi dalla gente, accalcatasi dietro le transenne come nel più classico dei concerti rock. Solo che io suono il fingerstyle!

Ho cominciato a suonare in apnea, alla ricerca dei miei soliti riferimenti visivi: la tastiera, le dita della mano sinistra, ma gli occhi erano troppo curiosi e troppo frenetici per stare fermi su un punto e così ho sbirciato. Ho alzato lo sguardo. Un fiume di mani alzate si perdeva fino in fondo al campo sportivo, dove la luce colorata si stemperava in una fitta penombra, e scandiva il tempo delle mie note con battiti regolari. Una sensazione di completezza ha scosso il mio cuore e fatto cedere per un attimo le gambe. Nessun frangiflutti mi proteggeva dalle mareggiate emotive, ero esposto, da solo, ero me stesso, unicamente e inevitabilmente. Che meraviglia!

Nota dopo nota, brano dopo brano, ho cominciato sempre di più a sentirmi a mio agio, sebbene a tratti faticassi a sentire la mia chitarra, sovrastata dalle urla di compiacimento del pubblico sempre più dentro alla musica, sempre più complice. Le mani hanno ritrovato sicurezza, le braccia la forza e le spalle la fierezza. Ogni volta che strappavo l’ultimo accordo di un pezzo venivo travolto da un’ondata di energia a cui era difficile opporsi, occorreva solo lasciarsi andare.

E così ho fatto, fino all’ultimo brano, fino all’ultima storia, arricchito da un migliaio di incontri, intensi e commuoventi. E quando, al termine del mio intervento, ho suonato l’arrangiamento della canzone “Non ho paura” dei The Sun, uno dei pochissimi arrangiamenti che ho fatto lungo il mio percorso compositivo, 1300 voci si sono alzate al cielo come un boato, cantando sulle note della mia chitarra le parole scritte da Francesco, fino a farmi tremare la pancia. Mai mi era successo. Mai.

E dunque, gli incontri. Sfuggenti o importanti, brevi o durevoli lasciano sempre un segno indelebile tra le pieghe del cuore. Il mio è colmo di gratitudine.


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