Gemma, 107 anni. Un fiume di giorni e stagioni che attraversa la storia, difficile anche solo da immaginare. Una vita intera di incontri e addii consumati, di sere e tavole sparecchiate, di chiavi smarrite e amori da non perdere mai, di terra e sogni coltivati e di chissà quanti batticuori, quante delusioni, di attese spente come cerini e fiammate improvvise di gioia, che quel giorno, sull’aia di casa sua, Gemma sembrava mescolare lungamente e pazientemente insieme allo zucchero nel caffè, occhi socchiusi e consapevoli sul sole già alto.
Tra i castagni centenari delle selve della Garfagnana, antichi e forti come i battiti del suo cuore, nell’aia appena scaldata dal timido sole di marzo, la donna accolse il pievano di Sillico con il caffè ancora fumante e una fierezza senza tempo, convocato lì per una benedizione, quella necessaria a ogni partenza. Dove dovesse andare alla sua età, padre Benedetto non lo intuì subito, probabilmente contagiato dal suo sguardo ancora acceso e volitivo, tuttavia la destinazione era a lui ben nota, a detta della donna, così come il desiderio di arrivarci in grazia di Dio.
Nonostante l’abbozzato tentativo di rassicurarla sull’eccessiva portata dei suoi scrupoli, assecondando nel contempo il timore che stesse in effetti straparlando, il pievano infine la confessò e l’assolse, riconoscendole una caparbietà contro cui è inutile dibattere. Gemma dal canto suo ringraziò felice e sollevata e lo congedò con un cesto di noci del suo albero, saporite e dolcissime.
L’indomani mattina, con l’aiuto dei suoi nipoti, nell’aia la donna radunò tutti i suoi paesani, una manciata di anime come lei arroccate nell’antico borgo, accorsi per affetto e rispetto. Gemma li accolse e li salutò uno alla volta, con il giusto tempo e la dovuta cura, e chiese a ognuno se mai avesse subito un torto da parte sua in passato, perché la sua memoria era offuscata dal tempo e non desiderava lasciare nulla in sospeso, una volta partita.
Nessuno ebbe niente da rivendicare, essendo sempre stata Gemma una donna buona e dedita al lavoro della terra, e quello strano e per alcuni incomprensibile incontro divenne quasi naturalmente un’adunata festosa di amici con cui ricordare il tempo trascorso e bearsi di un presente benevolo, impreziosito dalla condivisione che solo un piccolo paese di montagna sa vivere così intensamente.
Verso l’ora di pranzo, quando tutti avevano già preso la strada del ritorno, la nipote di Gemma entrò in casa per prepararle il pranzo e la trovò sul suo letto, senza vita, con la mano ossuta che stringeva il pizzo del giorno delle sue nozze che aveva sempre conservato. Era partita Gemma, doveva andare, così come aveva detto, così come sapeva che sarebbe accaduto.
Questa storia, realmente accaduta poco più di quattro anni fa, è dolcissima e meravigliosa, quasi fuori dal tempo, che insegna a tutto il mondo, senza giudizio alcuno, come si possa morire in serenità e sazi di giorni.