Guardiamo per un attimo la storia. All’interno di un qualsiasi perimetro temporale, per ogni settore e disciplina che il contributo umano ha sperimentato, sono esistite diverse scuole di pensiero costantemente impegnate in una battaglia ideologica (in molti casi anche fisica!) per dimostrare l’indiscussa ed esclusiva verità del proprio linguaggio a scapito di qualsiasi alternativa.
La legittimità di tale rivendicazione, alla fine destinata a essere esclusiva della fazione più abile ad assecondare il malcontento e le necessità dell’epoca storica in cui è germogliata, si è spesso fondata sulle basi di un’esperienza più o meno consolidata in una manciata di anni, forte dell’assenso di un gran numero di accoliti e di una presunzione che ha sempre offuscato la possibilità di altre soluzioni. Così, queste schiere di saccenti, nel corso della storia non hanno fatto altro che congelare ogni forma di linguaggio che avesse regole differenti da quelle espresse nei loro trattati, fornendo vademecum dettagliati su come diventare perfetti seguaci di bottega.
Il fatto, però, è che a un certo punto, in ogni epoca e in ogni disputa, si è verificata un’anomalia: ai confini di questi feudi culturali si è sempre e inevitabilmente presentato il vigoroso slancio di un’alternativa, quell’incauto fervore che sfugge al controllo e che sa rompere ogni equilibrio. Dissacrante e sfacciato, proprio nel momento di maggior ristagno, è arrivato dunque “il nuovo”: linguaggi e metodi mai espressi, sentieri spesso percorsi da solitari pionieri che hanno sfidato un’epoca, mettendola in discussione.
Naturalmente le nuove soluzioni, apparentemente prive di regole e irrimediabilmente distanti da tutti i precetti, sono sempre state messe all’indice, spesso in modo violento, divenendo per tutti un pericolo da evitare, una ridicola insolenza, un’offesa al bene comune, l’imperdonabile anomalia da azzittire e da allontanare. Da uccidere, se necessario.
Con grande lentezza, tuttavia, sopravvivendo anche al suo pioniere vissuto reietto, è capitato che “il nuovo” sia riuscito a fare breccia nelle mura dei suoi persecutori, sebbene ormai vecchio e a corto di slanci, vincendo nel tempo ogni tentativo di repressione e attirando a sé un numero di seguaci sufficiente a dar vita a una scuola di pensiero, finalmente presa in considerazione da tutti.
Dunque anche “il nuovo”, nonostante i più cocciuti conservatori, è riuscito a volte a trovare posto nelle dispute ideologiche del tempo, fino addirittura a diventare, ironia beffarda della storia, il rinnovato punto di riferimento culturale per le genti dell’epoca in cui è nato e a cui si è concesso, mutato rapidamente nella sua natura di semplice alternativa e diventato, infine, l’unica.
Ogni volta che un’epoca si è resa artefice di questo svilente processo, non ha fatto altro, in effetti, che rigenerare l’ottuso desiderio di supremazia ideologica a scapito di qualsiasi nuova soluzione. Così, di fronte al vigore dell’ennesimo slancio, ciclicamente e puntualmente apparso ai confini del neonato feudo culturale, si è nuovamente puntato l’indice contro “il nuovo”, ritenuto senza nessuna saggezza e alcuna predisposizione all’apprendimento un male da eliminare, definitivamente.
Nell’arte, e più specificatamente nella musica, questo malsano vortice continua a ripetersi senza fine come un loop impazzito, anche se con meno violenza. “Il nuovo” non ha mai sostenitori di sorta, ai nuovi linguaggi vengono negati fin da subito l’attenzione e la curiosità che meriterebbero perché incompresi e vengono inscatolati a forza tra le virgolette di un genere con inevitabile approssimazione, così da non essere una minaccia per nessuno, mentre le varie scuole di pensiero si scannano fra di loro per la supremazia ideologica e di nobiltà di intenti.
Ma la storia ci insegna che nel nuovo si nasconde sempre il germoglio di rinnovate soluzioni, anche dove parrebbe esserci solo un’indecifrabile confusione, e che è necessario predisporsi per decodificarne i benefici, ovverosia affilare umiltà e curiosità, in modo da rinvigorire la meraviglia e sorprenderci ancora di fronte alla misteriosa e inesplorata dimensione del nuovo, senza ostracizzarlo con spocchiosi pregiudizi.
Perché saper accogliere “il nuovo” non significa accettare ottusamente e con passiva accondiscendenza qualsiasi alternativa purché nuova, ma vuol dire saperle sapientemente prendere in considerazione tutte, coscienti che nelle pozzanghere culturali annega ogni possibile evoluzione e sbiadisce la bellezza.