Mondo delle fiabe a parte, le parole “contento” e “felice” vengono spesso messe l’una accanto all’altra, considerate in modo errato sinonimi. Passate al setaccio, però, i due termini rivelano accezioni molto diverse, per certi versi opposte.
Essere “contento” [dal latino “contentus”, participio passato di “continere” (contenere)], vuol dire tenere a bada i propri sogni, contenere le proprie ambizioni, perché a essere bramosi si corre il rischio di non portare a compimento i propri slanci, generando mancanza e dunque sofferenza. Chi è contento, dunque, non si spinge oltre e si accontenta.
Essere felice è tutt’altra cosa. Felice [dal latino “felix”, la cui radice è “fèo”, dal greco “phyo”, dalla radice sanscrita “bhu” (essere): “produrre, fecondare”] è colui che dà vita ai propri sogni, che di certo non li ridimensiona né tantomeno li contiene, e che favorisce questa fioritura non ponendosi limite alcuno, ma rischiando e vivendo ogni occasione intensamente.
Frenare il proprio sogno e viverlo appieno sono intenzioni che viaggiano in direzioni contrarie e per questo da scegliere con estrema cura: predisporsi a vivere da contenti o da felici? Io ho scelto.