È chiaro che per salire su un palco e proporre la propria arte in modo efficace si debba passare molto tempo a perfezionarne il linguaggio, così da non inciampare in errori che ne comprometterebbero la riuscita. Ma è anche vero che spesso il bagaglio tecnico del nostro talento può non bastare di fronte al potere catastrofico che può avere l’esplosione emotiva, il cui scoppio si percepisce anche molto tempo prima di trovarsi dietro le quinte.

Nel caso più specifico della musica e della chitarra, l’esercizio sullo strumento che precede un concerto non può non tenere conto dell’influenza che la forte emozione di suonare di fronte a qualcuno avrà sull’esibizione. Bisognerà tenere sempre presente, infatti, che le condizioni emotive con cui si avrà a che fare sul palco ridurranno di una percentuale piuttosto alta la capacità di concentrazione e il controllo sulle mani. Per cui uno dei modi più efficaci di affrontare la preparazione a un concerto — è chiaro che non è il solo — è quello di separare l’aspetto tecnico da quello emotivo e concentrarcisi in tempi diversi.

In primo luogo, forse il passo più scontato, si dovrà lavorare sulla propria capacità tecnica in modo da dare al repertorio una certa sicurezza “fisica”. Lavorare, cioè, perché i brani siano il più possibile “puliti” in ogni passaggio, a tempo e che procedano fluidi e senza sgambetti per tutta la loro durata. In altre parole bisogna tendere alla perfezione. Attenzione: non diventare perfetti (nessuno lo è!), ma raggiungere il picco del nostro potenziale, così da affrontare il fattore emotivo con un certo margine.

Il mio primo insegnante di chitarra classica, infatti, mi diceva sempre che nella solitudine della propria stanza si deve rendere al 130%, perché in una stanza affollata il 30% delle proprie capacità viene risucchiato inesorabilmente dall’emozione. Ecco che diventa importantissimo avere nelle dita la mappatura completa e assimilata di tutti i passaggi dei brani da eseguire, al meglio delle nostre capacità, così da non trovarsi scoperti in caso di perdita di concentrazione.

Ora, una volta ottimizzato l’aspetto tecnico e la fisicità del proprio potenziale, è necessario affrontare l’aspetto emotivo, forse quello più difficile e delicato da trattare. L’abitudine infatti di intervenire direttamente sulle emozioni, con l’improbabile tentativo di controllarle, non aiuta lo scopo, anzi genera ulteriore disagio quando ci si accorge che in effetti cambia poco o niente.

Secondo la RET (Terapia Razionale-Emotiva), la teoria psicologica che sta alla base degli studi dei meccanismi mentali ed emotivi, ideata dallo psicologo statunitense Albert Ellis, le reazioni emotive a un qualsiasi evento dipendono dai pensieri che l’individuo fa sull’evento e non dall’evento stesso.

Se salendo su un autobus pieno di gente sentiste qualcuno colpirvi dolorosamente alla schiena e, voltandovi, vi accorgeste che a colpirvi è stato un ragazzo con evidenti problemi di deambulazione, non avreste la stessa reazione emotiva che avreste nell’eventualità che a colpirvi fosse un energumeno frettoloso e poco rispettoso della fila. In entrambi i casi l’evento, cioè il colpo alla schiena, è lo stesso, ma le reazioni emotive sono diverse perché diversi sono i pensieri che le hanno generate.

Secondo la RET, dunque, se definiamo A l’evento, B i nostri pensieri al riguardo e C le emozioni, non è mai A a causare C, ma B. Questa teoria ci aiuta a capire le dinamiche emozionali che si innescano spesso, anzi direi sempre, durante un concerto o anche più semplicemente durante l’esibizione casalinga di fronte a un amico o a un gruppo di amici. La forte emozione che ci fa tremare, che ci rende poco lucidi e che annebbia la concentrazione non è frutto di un carattere sensibile e oltremodo emotivo, ma è diretta conseguenza di un pensiero che la RET chiama “svalutazione globale di sé o degli altri”, cioè un rosario distruttivo di pensieri tipo: “non sono abbastanza bravo”, “ora sbaglio, ora sbaglio”, “cosa penseranno di me?”.

Appreso questo, quindi, non è lavorando sul controllo delle emozioni che si ritroverà la lucidità per portare a termine l’esibizione, perché è altamente improbabile intervenire sui danni di una bomba già esplosa, è piuttosto sui pensieri che si dovrà operare una manovra costruttiva, perché sono la miccia da spegnere.

Se sul palco (o in salotto con gli amici), prima di cominciare il primo pezzo, le mani tremano e la concentrazione non trova un punto d’appiglio su cui ancorarsi, non sarà provando a calmare l’agitazione che cambierà la reazione emotiva, ma innescando pensieri diversi di forza uguale e contraria a quelli distruttivi, per esempio: “un errore non farà di me un inetto”, “sto facendo del mio meglio”, “indipendentemente da ciò che la gente può pensare il mio potenziale non cambia”.

Questo non è il tentativo di convincersi o, peggio, di illudersi che andrà tutto bene, ma è smascherare pensieri irreali e distruttivi e sostituirli con pensieri reali e costruttivi. Certo, questo lavoro di riconoscimento, attacco e trasformazione dei pensieri non è semplice, richiede una certa pratica e allenamento, perché la tentazione di seguire i vecchi percorsi mentali e di agire quindi sull’emozione sarà sempre forte. Ma anche la tecnica dello strumento prevede pratica e allenamento e non è certo il barrè a fermare gli aspiranti chitarristi.

Le volte che sono riuscito ad applicare la RET ho notato che è cambiato completamente l’approccio alla serata: non c’è stata più paura dentro di me, ma quella sana scossa di elettricità in tutto il corpo che spinge a eccellere e che qualcuno, a volte, scambia per presunzione. Non è che l’emozione sia scomparsa, è rimasta, ma è diventata parte del gioco: non più un ostacolo, ma un sapore da gustare. Perché il punto non è non emozionarsi, il che è impossibile (e comunque se così fosse credo che smetterei di suonare oggi stesso), ma è non esserne vittima.

L’arte è condivisione emotiva, non intralcio emotivo. Le volte, infatti, che sono rimasto vittima delle mie emozioni (spesso, in effetti!), la paura di sbagliare — soprattutto nelle occasioni importanti — ha annichilito le mani e annebbiato la vista, con il risultato di un concerto dallo schermo piatto, la cui condivisione non si è compiuta.


3 Replies to “Come non rimanere vittima dell’emozione durante un’esibizione”

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