Spesso quello che manca alla definitiva ottimizzazione di uno studio o di un brano, pazientemente messo insieme sui tasti della nostra chitarra nota dopo nota, è quell’importante passaggio che consacra tutto il lavoro, quello step che trasforma un’esecuzione incerta e scolastica in una sicura ed efficace esibizione, privata o pubblica che sia.

Naturalmente, quando parlo di “esibizione pubblica”, non mi riferisco necessariamente a un live con palco e luci e una platea gremita a far da cornice, ma anche semplicemente a un’esecuzione salottiera di fronte a pochi presenti o anche a un solo amico, situazione sufficiente, in effetti, a ridimensionare le più rosee aspettative alimentate nella fase di apprendimento.

L’errore più comune che si commette durante l’esecuzione privata di un esercizio o di un brano appena ottimizzato, a quel punto dello studio in cui si vuole verificare con quanta efficacia note e passaggi siano stati assorbiti dalle nostre dita, è quello di concedersi a priori e un po’ superficialmente illimitate possibilità di intervento, convinti che comunque vada sia possibile ripartire dall’inizio in qualsiasi momento, considerata la mancanza di un pubblico.

Il fatto di essere da soli nella stanza, infatti, non mette sufficiente pressione emotiva alla nostra attenzione e giustifica qualsiasi distrazione o punto debole dell’esecuzione. La nostra mente tende ad associare l’assenza di spettatori alla possibilità di errore senza alcuna conseguenza e la presenza di una platea attenta a una figuraccia colossale in caso di sbaglio. È dunque più che mai normale concedersi il lusso di sbagliare quando nessuno ascolta, sebbene questo tipo di atteggiamento si riveli inopportuno e poco costruttivo.

È sufficiente provare a registrarsi mentre si suona per confermare questo processo mentale, perché la fase di registrazione per certi versi è molto simile all’esecuzione in pubblico e, così come in un live, non esiste una seconda possibilità di intervento: se si sbaglia la traccia è compromessa. È necessario intervenire con l’editing per sistemare le cose, ma questo non è possibile farlo dal vivo.

Ecco allora che in nostro aiuto accorre la fantasia, potente e magnifica. Di grandissimo aiuto è, infatti, immaginare sempre di essere di fronte a un pubblico attento e voglioso di ascoltare, quando si esegue lo studio o il brano ottimizzato nella fase di studio. Questo stratagemma rafforza concentrazione ed emotività, entrambe tenute vive dalla convinzione che l’unica possibilità di esecuzione è quella che si sta svolgendo, perché non si può ripartire da capo se si scivola in un errore.

Immaginati su un palco, scaldato dalle luci, con la penombra che ti lascia intravedere i volti in prima fila di un teatro gremito in ogni ordine di posto. Lasciati travolgere dalla bellissima e affascinante idea che tutti in quel teatro immaginario siano lì per te, ansiosi di ascoltarti e di inebriarsi della tua musica.

Anche se ti sembrerà buffo all’inizio, entrare in questo sogno ti permetterà di suonare diversamente, con il vuoto allo stomaco e un leggero formicolio alle dita che ti permetteranno di pesare nota dopo nota e di rimanere concentrato dall’inizio alla fine del pezzo, attento a non inciampare lungo il suo tragitto, perché vorrebbe dire cadere e perdere quell’attimo meraviglioso di condivisione per sempre.

È una piacevolissima sensazione che ti aiuterà ad avere a che fare con questo tipo di pressioni nervose ed emotive, anche se in modo più leggero di quanto non accadrebbe realmente se tu fossi veramente in quel teatro. Ma in fondo chi è che non l’ha fatto: sono l’unico che da piccolo cantava con una spazzola in mano, di fronte allo specchio, convinto che un intero stadio fosse lì per me?


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